Riflessioni sulla linea di confine del fine anno e altro…
Sembra quasi inevitabile a fine e inizio anno sentire l’immaginaria linea di confine. Tanto che abbiamo bisogno di un rito ripetuto, quasi perpetuo, per celebrare la fine del vecchio e l’inizio del nuovo.
Forse una necessità che ha a che fare con il bisogno dei confini che abbiamo dentro.
Sarà che come terapeuti lavoriamo sempre sui confini, tanto che “abitiamo” il confine, perché la relazione che si instaura in terapia, rappresenta il luogo di fatto dove il paziente arriva, sosta, viene accolto e nutrito dal suo terapeuta.
C’è l’idea del viaggio che ogni paziente fa dentro di sé, in questo luogo accogliente di cura e nutrimento per l’anima. Uno spazio di condivisione assoluta, tanto più assoluto quanto più viene garantito il confine. Forse è proprio il confine che dà senso alla condivisione.
Imparare a gestire ed abitare il confine è davvero la cosa più complessa per ogni terapeuta, ma probabilmente è l’essenza di quel bisogno con cui rappresentiamo ogni volta il rito ogni fine-inizio anno.
Guarire è imparare a sentire condivisione e confine allo stesso tempo. Alcuni pazienti fanno fatica e allora l’accompagnamento è più lungo, come se avessero bisogno di una scia immaginaria che rimanga, e per alcuni sono le tante terapie provate e insolute, un prima fatto di “non risolti” a cui dare significato, a volte non era il momento giusto…. a volte per mancanza di cura ed empatia del terapeuta.
Alcuni temono la guarigione per paura di risentire quel dolore della lacerazione provato più volte nelle relazioni della loro storia. E qui il nostro compito è davvero difficile, perché far sentire il confine amorevole e la cura, necessitano di una responsabilità, sensibilità e predisposizione quasi più personale che professionale, nel senso che c’è l’hai dentro, non te la insegna nessun corso, nessuna università, nessun master. È l’arte e l’empatia della cura.
Nel 2020 il senso del confine lo abbiamo sperimentato tutti: chi come le figure sanitarie con tute e mascherine in prima linea, per curare ed essere i garanti di un confine estremo, quello tra la vita e la morte, o tra la vita e la rinascita; chi all’interno della propria casa, magari distante dai legàmi cari e significativi; oppure come luogo di sicurezza e protezione.
Concetto strano per noi che solitamente viviamo la sicurezza con il contatto e la vicinanza (ormai avrete capito tutti da tempo quanto mi sia caro il riferimento alla “base sicura”). Strano proprio perché il confine e la distanza fisica diventavano per la prima volta i garanti della nostra sicurezza.
Quindi tutti nel 2020 abbiamo dovuto imparare a colmare la distanza, un po’ come facciamo noi terapeuti che colmiamo la distanza fra la nostra poltrona e quella del paziente, distanza sempre molto ricca di emozioni. E quest’anno abbiamo dovuto dare un senso alle terapie online, rendendo lo spazio virtuale uno spazio denso di vissuti. Ma probabilmente “di necessità si fa virtù”, ed anche i colleghi più refrattari ne hanno fatto tesoro, assumendosi la responsabilità di gestire un percorso di cura diverso, in direzioni diverse e dagli esiti difficilmente prevedibili.
Ma noi rimaniamo sempre disponibili all’accoglienza e alla trasformazione, offrendo la possibilità di terapie online senza la mascherina, perché lo schermo consente questo, di vedersi come prima; o terapie in presenza con la mascherina, con un profondo lavoro e attenzione alle sfumature degli occhi e della voce…sguardi intensi, occhi che sorridono o piangono, ma che assumono ancora più significato insieme agli odori, ai rumori dentro e fuori dalla stanza, al calore, ai respiri, e al rumore del ticchettio dei nostri orologi, sempre presenti.
Terapia è stato questo, in soldoni, dare e trovare nuove forme e possibilità alla relazione terapeutica.
E fuori dallo spazio terapeutico ė avvenute qualcosa di simile. Abbiamo dovuto dare senso alle linee di confine, un significato alla distanza fisica….io avrei usato questo termine “distanziamento fisico”, perché di questo si trattava e si tratta ancora, anche perché “distanziamento sociale”, come definizione, uccide la nostra essenza di animali sociali, il nostro istinto.
E lo abbiamo fatto, abbiamo davvero dato un senso e significato a qualcosa di cui abbiamo sentito la mancanza.
E proprio per questo il rito di fine 2020 e inizio 2021 probabilmente rimarrà impresso nelle nostre mente, con l’intimità e l’autenticità che solo la distanza riempita di significato sa dare.
Buon cammino a tutti