È solo quando perdiamo qualcosa che ne capiamo l’importanza, eppure quando c’è l’abbiamo la diamo per scontata. E quando capiamo le cose, e ci sembra troppo tardi, proviamo rimpianto. Come se non potessimo capire davvero qualcosa se non dopo averlo perduto. “Siamo tutti un po’ Willy il Coyote”, come cita spesso il filosofo Slavoj Žižek, perché continuiamo a rincorrere lo struzzo anche quando non abbiamo più la terra sotto ai piedi, non riusciamo a fermarci prima del precipizio. Come se la nostra mente avesse un ritardo cognitivo. E Willy cade solo quando si rende conto di essere sospeso nel vuoto, quando guarda realmente in basso.
Questo è quello che succede anche a noi e spiega “quel ritardo cognitivo” con cui apprezziamo o comprendiamo le cose. In un certo senso quando viviamo inconsapevoli, la verità ci è nascosta, non la vediamo per quello che è ma per quello che pensiamo che sia, ed è per questo motivo che dobbiamo imparare a convivere con una certa dose di insicurezza. Come Willy, è solo quando percepiamo l’immagine del vuoto, quello che per noi rappresenta il vuoto, quando perdiamo le certezze, soprattutto del quotidiano, che prendiamo coscienza di quello che sta accadendo.
Direi che in questi giorni ha colpito tutti l’immagine di Papa Francesco solo di fronte alla Croce il Venerdì Santo. Ha colpito non solo i credenti. Come se fossero proiettati su uno schermo le nostre ombre, le ombre di tutti noi, e le meditazioni dei carcerati come simbolo di chi ha impresso sulla pelle la sofferenza del buio dell’anima, risuonavano più forti per il rimbombo del vuoto dell’immagine, comunque densa di significato. È forse quel mix di sensazioni, di paura e di speranza, che tutti in questo momento stiamo vivendo: paura, abitudine, ansia, amore e bisogno di amore, l’aiuto, impotenza, rabbia, gratitudine, vulnerabilità e nudità, scelta e consapevolezza, stanchezza, speranza. Questa la nostra vita parallela alla Via Crucis ed oggi con la giornata della Pasqua, che nel suo significato più intrinseco etimologicamente rappresenta il passaggio, in greco “pascià”, in aramaico “pasah”, passaggio del Mar Rosso, che per gli Ebrei segnava la fine della schiavitù in Egitto e quindi la conquista della libertà. Per i Cristiani segna il passaggio dalla morte alla vita di Gesù. La Resurrezione. La speranza della vita eterna o di una nuova vita. Per questo è uso mangiare le “uova”, perché dalle uova nasce la vita. Questa è una Pasqua senza tempio, proprio come per noi che abbiamo perso le certezze, o almeno messe duramente in discussione.
Il punto è che come accennavo all’inizio, la nostra facoltà di pensiero arriva sempre dopo, è solo quando la realtà si compie che riusciamo a comprendere, se c’è lo concediamo. Ma forse non siamo noi ad essere in ritardo nel capire e comprendere. Forse è la natura delle cose che rimanda sempre e comunque a un futuro che deve ancora venire. Ed è per questo che nella situazione attuale fatichiamo a vivere il qui ed ora, che proprio ora non ci piace.
Ma continuando a sovrapporre la pandemia, alla Pasqua, al qui e ora, forse potremmo pensare che è come se dovessimo morire o far morire una parte di noi. La morte simboleggia il cambiamento. E forse in questo senso dobbiamo morire per cambiare, perché ora più che mai in questo che viene definito momento epocale, forse dobbiamo morire due volte perché dobbiamo vivere due vite. Quella del prima è quella del dopo il Coronavirus. La prima molto naturale e anche pratica oppure a volte sganciata dal naturale verso il consumismo smodato. La seconda che per senso intrinseco dovrà trascende ed andare oltre la temporalità degli accadimenti, e che risponderà a bisogni diversi da quelli di prima, dando così un altro significato alle nostre vite.
Quello che stiamo facendo ora, nel qui e ora, rimanda ad un futuro che deve ancora venire e a cui non riusciamo ancora ad attribuire forse il giusto significato.
Dare un senso, una visione, con la speranza di realizzare nel cambiamento dei valori o una scala di valori più vicini ai nostri veri bisogni.
Forse un’aspirazione futura in cui tutto ciò che stiamo vivendo oggi troverà il suo pieno significatoForse ci stiamo facendo un’idea, un “come se”, dove la proiezione, come meccanismo psicologico, inizia a dare forma a significati importanti.
“Come se” per dare significato alla storia che stiamo vivendo, proprio perché vivere vuol dire raccontarsi una storia, di cui siamo contemporaneamente protagonisti, autori, editor e se lo trasformiamo nel film che vediamo, anche sceneggiatori e registi oltre che attori. Perché vivere è raccontarsi e raccontare la storia dei momenti della nostra vita, ed è solo quando gli eventi entrano a far parte di questa storia che acquistano un significato, un senso. Forse non sappiamo ancora che significato dare a quanto sta accadendo nelle nostre vite, ma tra un po’, nel futuro che stiamo costruendo passo passo, momento per momento, nel ricordare questi giorni, questi eventi così inaspettati che hanno avuto un forte impatto nelle nostre vite, forse riusciremo a scrivere un capitolo del nostro libro, non così sospeso, ma ordinato e coerente.
Quindi forse da questa esperienza dobbiamo imparare a convivere con l’incertezza di cui parlavo all’inizio, perché anche ciò che sembra incomprensibile al momento, assumerà un significato nella nostra storia personale e non solo, anche a livello mondiale, perché è di fronte a questo che ci mette il Coronavirus. Stiamo tutti attraversando la stessa tempesta, anche se siamo su barche diverse, perché nella nostra individualità siamo diversi.
Questo è il momento della presa di coscienza, dove impareremo a convivere con una certa dose di insicurezza e ad avere fiducia nel futuro.
Perché sì, arriverà il momento in cui capiremo tutto ciò che c’era da capire, nel bene e nel male, per ognuno di noi.